Omelia per l’Ordinazione Presbiterale
di Armando Lauria e Salvatore Vastano
At 20,17-18a.28-32.36; Sal 109; Ef 4,1-7.11-13; Gv 10,11-16
Caserta – Chiesa Cattedrale
19 aprile 2024
Servire, sotto l’azione dello Spirito, in comunione
Carissimi,
nella gioia della Pasqua viviamo questa sera un momento di speciale grazia. Due figli della nostra Chiesa saranno ordinati presbiteri: sono, come abbiamo ascoltato, Armando Lauria, figlio di Donato e Pina, della Comunità Parrocchiale Gesù Buon Pastore e Salvatore Vastano, figlio di Leonardo e Franca, della Comunità Parrocchiale S. Antonio di Padova, entrambi della Città di Caserta. Sì, Dio dona alla nostra Chiesa altri due preti.
Come la sera di Pasqua, il Risorto viene e sta in mezzo a noi! Viene per tutti noi e, in modo speciale, a voi, carissimi Armando e Salvatore, dice: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21-23). E, perché possiate diventare partecipi della Sua missione, su di voi, per l’imposizione delle mie mani, pronuncia con potenza un’epiclesi, e vi dona, così, il Suo Spirito: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,21-23). Disse così agli undici – la sera di quel giorno, il primo della settimana – e così, attraverso la liturgia di ordinazione, dice, questa sera, anche a voi. Sì, carissimi, Dio vi ha scelti, vi ha pensati per una missione grande: quella di rendere presente il Suo Figlio e di continuare la Sua opera nel mondo.
Carissimi, quanti pensieri abitano in questo momento la vostra mente e quante immagini attraversano il vostro cuore! Mentre tra poco starete a terra – in segno di resa e di mendicanza di grazia – prostrati dinanzi al Signore, e la Chiesa pellegrina nel tempo insieme a quella del cielo, pregherà su di voi, forse in maniera ancora più forte, ritornerà a scorrere, dinanzi a voi, come in un film, tutta la vostra vita: il tempo vissuto in famiglia, con le gioie e i dolori, il forte rapporto per entrambi con i nonni, la scuola, il tempo dell’adolescenza e della giovinezza, poi le amicizie, i lutti, le prime domande di senso, una conoscenza più profonda di Gesù – per te Armando l’incontro con i frati e Assisi, per te Salvatore, i viaggi e l’università – poi il ritorno in parrocchia, i primi contatti con mons. Farina, il desiderio di un discernimento serio, qui a Caserta, poi a Pozzuoli e infine al Seminario di Posillipo; e, intanto, il dialogo avviato prima con mons. D’Alise e poi con me, fino ad arrivare qui, a stasera.
Perché ha scelto voi? Chissà quante volte ve lo sarete chiesti. E anche noi – io e i tanti confratelli presbiteri che siamo qui con voi questa sera – ce lo siamo chiesti e ce lo chiediamo ancora tante volte: perché il Signore ha scelto noi? Non siamo migliori di altri – e neppure voi lo siete – ma il Signore ha pensato a noi a preferenza dei nostri eguali e ci ha consacrati con olio di letizia. Sì, anche voi, Armando e Salvatore, da stasera potrete dire: Dio, il mio Dio mi ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei miei eguali (cfr. Sal 44,8). Sì, a preferenza dei vostri eguali, e ciò, unicamente per grazia, per puro amore, soltanto per amore. «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre»: così abbiamo ascoltato nel Vangelo questa sera: solo dentro quella relazione d’amore con il Signore possiamo capire, almeno un po’, il mistero della nostra vocazione.
Carissimi Armando e Salvatore, la Parola di questa sera è particolarmente bella! In essa possiamo cogliere tantissime sollecitazioni per la nostra vita. È una Parola per tutti noi, ma, oggi, è soprattutto per voi. Ritornateci spesso, perciò; riascoltatela e meditatela. Quando ogni anno, il 19 aprile, celebrerete il vostro anniversario di ordinazione presbiterale, ritornate ad ascoltarla, riconoscendola come un dono per la vostra vita e una promessa di fecondità, per voi e per tutti coloro che il Signore vi fa incontrare nel vostro ministero. Proprio a partire dai testi della Scrittura ora proclamati, vorrei offrirvi alcune considerazioni. Vi propongo perciò tre parole.
La prima è: servire.
Chi è il prete? È un cristiano scelto dal Signore per servire. Papa Francesco, parlando due mesi fa agli ordinandi presbiteri della Chiesa di Roma, li invitava a custodire una “coscienza diaconale” e diceva: “non si diventa pastori se prima non si è diaconi. Il diaconato non svanisce con il presbiterato; al contrario, è la base su cui si fonda. Sarete preti per servire, conformati a Gesù che «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita» (cf Mc 10,45). …Così che ogni mattina è bene pregare chiedendo di saper servire: Signore, oggi aiutami a servire; e ogni sera, ringraziando e facendo l’esame di coscienza, dire: Signore, perdonami quando ho pensato più a me che a mettermi al servizio degli altri”.
Ma, a partire dalla Parola di questa sera, noi ci domandiamo: cosa significa servire? Significa dare la vita. Vale per tutti, ma soprattutto per noi pastori: «Il buon pastore – dice Gesù – dà la propria vita per le pecore». Sì, perché le pecore gli appartengono, le pecore gli importano. È ciò che il Signore chiede anche a noi, scelti per il ministero ordinato. E quando le pecore ci interessano, non c’è tempo che tenga, non esiste più l’orologio, ma si vive completamente per gli altri, e agli altri – come Paolo dice di sé agli anziani di Efeso – ci si dona, notte e giorno, fino alle lacrime, senza cessare. Servire, perciò, dice il Papa, “è un verbo che rifiuta ogni astrattezza: servire vuol dire essere disponibili, rinunciare a vivere secondo la propria agenda, essere pronti alle sorprese di Dio che si manifestano attraverso le persone, gli imprevisti, i cambi di programma, le situazioni che non rientrano nei nostri schemi e nella ‘giustezza’ di quello che si è studiato”. Servire – continua il Papa – è fare della propria vita “un’avventura eucaristica. È ripetere con la vita, in prima persona: «Questo è il mio corpo, donato per voi». È un atteggiamento costante, fatto di accoglienza, compassione, tenerezza, uno stile che parla coi fatti più che con le parole, esprimendo il linguaggio della vicinanza”.
«E ho altre pecore che non provengono da questo recinto». Servire, alla luce del Vangelo di questa sera, significa non chiudersi nei nostri recinti, non limitarsi a quelli che frequentano le nostre sacrestie, ma aprirsi agli altri, a quelli che stanno fuori, a quelli che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo, a quelli senza speranza, ai poveri, agli ultimi, per vivere tra loro una missione senza confini e senza steccati, perché anche quelli interessano al Signore, anche quelle sono pecore sue e anche quelle Lui vuole guidare.
Carissimi, oggi per la vostra ordinazione sono presenti, oltre a tanti amici presbiteri di altre Chiese, anche alcuni preti della Chiesa di Capua, unita da qualche mese, in persona episcopi alla Chiesa di Caserta. Questa unione allarga i confini della missione e ci sprona a uscire, ad appendere al chiodo le pantofole di una vita tristemente comoda, per indossare i panni dei pellegrini che sanno guardare oltre, da Dan a Bersabea, da Montedecoro a Castel Volturno, da Cervino a Ischitella.
Carissimi Armando e Salvatore, siate pastori desiderosi di servire; siate pastori e non mercenari! Al mercenario, dice Gesù, non importano le pecore. Il mercenario fa le cose per secondi fini, per attirare le persone dietro di sé, e, dunque, per interesse, spesso addirittura per i soldi, a pagamento. Ma voi non siate così… tra voi non sia così. Siate invece preti con la passione per il Vangelo, con la passione per Dio e per l’uomo! Come fare perché ciò accada? Come fare perché la nostra vita sia una continua donazione? Ecco la seconda parola.
La seconda parola è: sotto l’azione dello Spirito.
È una parola che mutuo dal testo degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato nella Prima Lettura; in essa ci è stato presentato Paolo che, a Mileto, si rivolge per l’ultima volta agli anziani della Chiesa di Efeso e dice loro: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio».
Innanzitutto, vegliate su voi stessi: prima su noi stessi, perché non accada a noi di dire agli altri parole che noi non viviamo e di dimenticare che la Chiesa e le persone a noi affidate sono del Signore, e di esse, un giorno, ci verrà chiesto conto. Vegliate su voi stessi: abbiate cioè cura di voi, della vostra vita, della vostra relazione con Dio, del vostro rapporto con la Parola; non date nulla per scontato; non pensate di vivere di rendita, sì, perché «chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1Cor 10,12).
Alimentate, invece, lo Spirito; è lo Spirito Santo che vi costituisce pastori e soltanto se vivrete sotto l’azione dello Spirito potrete essere custodi degli altri ed essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio. Per questo è indispensabile, essenziale, vivere sotto la guida dello Spirito Santo e dargli il primato. “Se ciò avviene – dice papa Francesco – la vostra vita, come fu per gli Apostoli, sarà orientata al Signore e dal Signore, e voi sarete davvero uomini di Dio. Altrimenti, quando si conta sulle proprie forze, si rischia di trovarsi con un pugno di mosche in mano. La vita sotto la guida dello Spirito: vuol dire passare dall’unzione dell’ordinazione a un’unzione quotidiana”. Come fare? “Gesù – ci ricorda il Papa – effonde su di noi l’unzione dello Spirito quando stiamo alla sua presenza, quando lo adoriamo, quando siamo intimi alla sua Parola. Stare con Lui, rimanere con Lui (cfr. Gv 15), poi, ci permette anche di intercedere davanti a Lui per il Santo Popolo di Dio, per l’umanità, per le persone che si incontrano ogni giorno. Così, un cuore che attinge la propria gioia dal Signore e feconda di preghiera le relazioni, non perde di vista la bellezza intramontabile della vita sacerdotale”.
Carissimi, Armando e Salvatore, venite ordinati presbiteri nell’Anno della Preghiera che ci prepara al Giubileo. Siate uomini di preghiera! Solo se ci sarà la preghiera nella vostra vita, il vostro ministero sarà fecondo, libero e, soprattutto, appassionato.
La terza parola è, infine: comunione.
È una parola che mutuo dalla II Lettura, che ci parla del mistero della Chiesa e della sua vocazione a essere «un solo corpo e un solo spirito», nella consapevolezza che «a ciascuno… è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo» (Ef 4,4-7). e che, in modo particolare, a quanti nella Chiesa svolgono un servizio di guida, è chiesto di aiutare tutti i battezzati «a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,12-13).
Carissimi, tra qualche istante, il vescovo, nel chiedervi di assumere gli impegni propri del presbiterato, vi domanderà, innanzitutto, la disponibilità a essere cooperatori dell’ordine episcopale.
A coloro che stanno per diventare preti e, dunque, anche a voi, “la Santa Madre Chiesa – dice papa Francesco – per prima cosa non chiede di essere leader, ma cooperatori, cioè, stando al senso delle parole, coloro che ‘operano con’. Questo ‘con’ è essenziale, perché la Chiesa, come ci ricorda il Concilio, è anzitutto un mistero di comunione. E il presbitero è testimone di questa comunione, che implica fraternità, fedeltà e docilità. Coristi, insomma, non solisti”.
Ciò significa essere capaci di lavorare insieme, uniti al vescovo e al presbiterio, pronti a fare squadra innanzitutto con gli altri preti, ma anche con tutti gli altri membri della Chiesa, senza immaginarsi mai autonomi e autosufficienti. La sinodalità, di cui tanto parliamo in questo tempo, parte da qui; dalla capacità, soprattutto di noi pastori, di vivere la fraternità, prima tra noi preti, ma poi pure con i laici, accogliendo la sfida – che anche il cambiamento d’epoca ci chiede – di lavorare insieme, mettendo da parte un’idea di pastore che, nel suo campo di azione, si sente papa e re.
Carissimi, aiutate il vescovo a fare della nostra Chiesa una casa e una scuola di comunione, dove – come Paolo esortava gli Efesini – si prova a comportarsi con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandosi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace (Cfr. 4,2-3).
Nelle comunità dove sarete inviati, siate strumenti di comunione, promotori di fraternità, facilitatori di amicizie e di relazioni; siate pastori attenti alle persone, che non le considerano numeri, pastori che sanno annunciare concretamente che ogni persona per Dio vale molto, e sanno riconoscere che ognuno è portatore di doni di Dio, unici e meravigliosi.
Dunque: servire – sotto l’azione dello Spirito – in comunione.
Carissimi Armando e Salvatore, se sarete così – preti capaci di servire, sotto l’azione dello Spirito e in comunione, sarete preti contenti.
Quando un prete serve, veramente, disinteressatamente, e lo fa senza esaurirsi, mettendosi continuamente sotto l’azione dello Spirito Santo, e lo fa non da solo, ma aprendosi agli altri, e provando a mettersi insieme, quel prete, nonostante tutto, nonostante anche le cadute e i fallimenti, sarà un prete contento. Non ci sarà spazio per la noia, la rassegnazione, la stanchezza, che sono sintomi di cuori spenti, incapaci di ardere e di far ardere. Al contrario, ci sarà la gioia, quella vera, quella di cui il mondo ha bisogno e che tanti aspettano di vedere sul volto della Chiesa, dei cristiani e, innanzitutto, sul volto dei preti.
Carissimi Armando e Salvatore, come Paolo con gli anziani di Efeso, anche io «ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati» (At 20,32).
Lui è fedele! Lui «ha giurato e non si pente» (Sal 109,4). Anche di ciascuno di voi, Egli dice: «con il mio santo olio l’ho consacrato; la mia mano è il suo sostegno, il mio braccio è la sua forza. La mia fedeltà e la mia grazia saranno con lui». (Sal 88,21-22.25).
Chiedete anche voi questa grazia: la grazia della fedeltà! Anzi, chiediamola insieme! Per questo vi affido alla santa Madre di Dio, la Regina degli Apostoli e la Madre della Chiesa.
Che, nel dire al vescovo, per cinque volte, “sì, lo voglio!”, possiate essere contagiati dall’intensità e dalla passione con cui Maria di Nazareth rispose a Dio. E che quel “sì, lo voglio!”, si possa rinnovare in voi ogni mattina, per sempre, fino alla fine. Amen!